Penso che non ci sia modo migliore e più inesatto per ridimensionare Carl Craig che etichettarlo come il “Padre” o, in modo ancor più inesatto, “l’inventore” della techno music.
Così come non ci può essere aspettativa più frustrata di chi si avvicina da spettatore o, peggio, da presunto addetto ai lavori a un suo live sperando che … “Non faccia solo techno”.
Allo stesso modo resterà altrettanto deluso l’immancabile presenzialista da concerto pronto ad aggiungere la tacca Carl Craig al suo carnet di accrediti.
Per non parlare del giornalista musicale in via d’estinzione che si trova di fronte al dubbio amletico e alla crisi identitaria di dover spiegare ai suoi lettori chi sia Carl Craig (quando non si porrebbe minimamente il problema se sul palco ci fosse David Guetta).
Noi probabilmente ci sediamo dalla parte del torto, come direbbe Bertolt Brecht, perché tutti gli altri posti erano occupati… Nel caso in particolare da persone impegnate a immortalare la loro presenza a un “concerto techno” (definizione raggelante) e, nel peggiore dei casi, protagonisti dell’hate speech a dibattere se il prezzo del biglietto fosse adeguato alla performance e se l’organizzazione del RomaEuropa Festival potesse o meno essere responsabile di alcuni problemi tecnici sui visual. Polemiche delle quali i social media sono stati tristemente invasi nel momento dell’info-tsunami, come lo definirebbe il critico musicale Simon Reynolds.
Già, perché il Carl Craig Versus Synthesizer Ensemble, con il pianista lussemburghese Francesco Tristano alla direzione musicale, è il risultato di una collaborazione nata in modo spontaneo per volontà di entrambi gli artisti ma soprattutto dall’ambizione di Carl Craig di poter scrivere i suoi beat su un pentagramma. Un’idea certa non nuova nel panorama musicale odierno, il cui differenziale e allo stesso tempo il cui limite, rispetto a una miriade di progetti analoghi, risiede nel “come” non tanto nel “cosa”.
A otto anni di distanza dalla prima esibizione live con l’orchestra Los Siecles diretta da Francois-Xavier Roth, il progetto Versus ha conosciuto una trasposizione discografica e il concerto andato in scena all’Auditorium Parco della Musica (per l’edizione in corso del RomaEuropa Festival) ha rappresentato un’occasione per provare almeno a sondare la sostanza sotto la patina. Un’opportunità per osservare e ascoltare un esempio di complementarità tra due artisti, Craig e Tristano, eclettici e allo stesso tempo misurati, in grado di migliorare ognuno la musica dell’altro.
Perché l’elettronica (intesa come musica, non come vanity metrics dei selfie) è una cosa seria. La dance, in alcune sue epifanie, anche. Carl Craig è un paradigma di sintesi e di contraddizione che si colloca a metà tra i due generi, uno dei più influenti DJ e producer al mondo che, in ripetute occasioni, si è avvicinato alla composizione in maniera equilibrata, partendo da un concetto chiave: collaborazione. Il risultato può essere altalenante, talvolta discutibile, ma al cospetto di un artista che raramente si è lasciato andare a derive posticce (per privilegiare poche ma ispirate collaborazioni) va quantomeno considerato un tentativo autentico.
In ambito artistico e musicale, infatti, oggi non si può più prescindere dal concetto di collaborazione, al punto tale che festival più interessanti e illuminati non sono vetrine, bensì laboratori, spazi fisici dove concretizzare musica partendo dall’incontro e dal confronto tra artisti, musicisti e produttori di estrazione e background anche profondamente distanti.
Si pensi al riguardo a LeGuessWho, il festival che a breve prenderà il via a Utrecht in Olanda e che a rappresenta una delle forme più riuscite del format collaborativo.
Carl Craig questo terreno di confronto e ispirazione rappresentato dalla collaborazione lo conosce bene da anni, perché dell’elettronica, intesa nella sua accezione più ampia, tanto musicale quanto sociologica, è demiurgo, non schiavo.
Nello sciame digitale della contemporaneità, per dirla con Byung, il producer originario di Detroit, infatti, ha mantenuto una sua identità artistica ben precisa e nel corso della sua carriera ha stretto relazioni artistiche, non connessioni, per amplificare il suo potenziale musicale e incanalarlo in un sentiero dalle connotazioni chiare verso la sua già ampia platea virtuale.
Lo dimostra il suo percorso costellato da side project dalla confezione e dalle intuizioni sempre interessanti e stimolanti, come la Innerzone Orchestra (già protagonista di un bellissimo concerto nel 2008 sempre all’Auditorium per il festival M.I.T. – Meet In Town) e il progetto The Detroit Experiment con il sassofonista Marcus Belgrave, la pianista Geri Allen e altri protagonisti della scena musicale della Motor City in decadenza.
Con Versus, bisogna ammetterlo, il suo tentativo di spingersi “oltre” è rimasto in parte imbrigliato dalle stesse regole, sequenze e pattern ai quali Craig, da anni, ci ha abituato: ritmiche studiate e ripetitive, uso aulico delle string, melodie incalzanti e gli immancabili visual… Ovvero l’argomento più dibattuto tra gli astanti, all’uscita del concerto! Non certo per la loro qualità artistica, davvero elevata, ma per un banale difetto di cavo HDMI (sì, può succedere).
I barocchismi pianistici di Tristano hanno sostenuto la performance dell’ensemble “sintetico” controllato da Craig dandogli variabilità ed eleganza, pur senza incidere in modo sostanziale sul contenuto musicale che è rimasto quello che l’audience si aspettava, bello ma senza sussulti.
Ricordando i fasti delle serate al Brancaleone, Carl Craig ha salutato il pubblico romano (a cui è particolarmente legato proprio per quelle incredibili session delle quali più volte è stato protagonista nel club di Via Levanna) in una dimensione ideale per la sua attitudine da DJ. Tuttavia viene il dubbio che ben pochi tra i presenti siano stati in grado di cogliere quei riferimenti e di ricordare quell’atmosfera davvero underground che è rimasta nell’immaginario di Carl Craig, al punto tale da inserirlo nella sua personale classifica del clubbing. Un’atmosfera, quella delle mura scure del Brancaleone, in cui veramente si propagavano le “ultime” onde sonore della techno di Detroit, molto diverse e ben lontane anche concettualmente dall’house music venata di pop e con qualche lontano riferimento alla musica classica del Versus Synthesizer Ensemble.
Categorie logiche, generi, contaminazioni e storie interessanti, sui quali ci si potrebbe confrontare.
Ma in fondo, perché parlarne? È pesante… Roba da sapientoni… Tanto meglio farci un ultimo selfie che peraltro è anche gratis.