L’ultimo romanzo di Roberta Lepri, Ci scusiamo per il disagio, edito da quel magnifico vecchio (incazzoso) di Marcello Baraghini, è piaciuto a tutti in famiglia, pure a Lena che ha esercitato i suoi denti di cucciola, rifilando il libro torno torno. Sarà un caso, ma lo fa solo con i libri che piacciono ai suoi coabitanti umani; oppure carta, inchiostri e collanti di Stampa Alternativa hanno un sapore particolare. Comunque Lena non ha dubbi: meglio la versione cartacea, ché come si fa a rosicare un libro digitale?
Ammonita la cucciola, restaurato il libro, passiamo alla lettura. Il contesto è quello della provincia maremmana. In questa terra splendida ho vissuto e lavorato da stanziale e da pendolare: e il ritornello «Ci scusiamo per il disagio» l’ho sentito anche là, proprio alla stazione di Grosseto, teatro di molte delle scene del racconto. Questo mi ha facilitato l’immersione nelle atmosfere sia cittadine sia marine del romanzo. Il sapore più forte della Maremma è quello tra le righe, più che nelle parole che spesso lasciano tra di loro come degli spazi per annusare, quasi a far posto al salmastro, al Morellino o all’afrore tipico di una stazione.
La storia
No, che non ve la racconto la storia nei dettagli. Ché non si fa e poi non è quello l’aspetto da raccontare: la forza è nei dialoghi e nelle situazioni. Nelle riflessioni talvolta compiute, talvolta solo accennate dei protagonisti: come per spingere il lettore a metterci del suo sul senso dell’esistere. Se poi è un lettore passivo e passatempo, pazienza: non gli mancheranno on e offline i contenitori di chiacchiere insulse, per riempire di niente il niente quotidiano.
Serena, la protagonista, è un’insegnante borderline per un alcolismo insidioso e progressivo. Gin è uno che si è tirato fuori dal coro, un barbone non privo di carisma e di refoli di eleganza: per gli altri è Lord Gin.
I due s’incontreranno, si scontreranno, si faranno domande apparentemente bizzarre: «Andare a Roma oppure a Orbetello a vedere le balene?».
Intorno a loro, a gravitare nella e intorno alla stazione, una piccola folla di personaggi, incisi a punta secca, che inevitabilmente ci richiamo alla memoria qualche stravolto che abbiamo incontrato per strada: come Angelina che in realtà è Vittorio, ma siccome è grossetana è più accettata degli altri barboni. Quei “senza casa” che strisciano lungo i muri, come scusandosi anche loro del disagio provocato: li ignoriamo o li evitiamo accuratamente come portatori di disvalori per il nostro universo borghese. Gli stessi che, nel racconto di Roberta, ci appaiono ora carichi di un’umanità conservata e spesso generosa a dispetto di una spietata indigenza.
Sotto il segno di Bianciardi e Baraghini
Ci scusiamo per il disagio della mia amica umbro-maremmana si muove lungo le tracce di queste due originali icone: uno scrittore graffiante, che anticipò molti temi e molti modi pasoliniani, e un editore scientemente folle. Due “anti sistema”, o quanto meno “fuori dal sistema”, ma con il senso della comunità. La Vita Agra di Bianciardi, forse il suo libro più famoso, scardinò stereotipi e rappresentò il contesto provinciale senza reticenze: gli valse tre processi. Baraghini, campione della contro-informazione, protagonista di cento battaglie sui diritti civili, coraggioso editore e innovatore illuminato (le Edizioni Mille Lire sono tra i miti della mia generazione), condannato, perfino latitante e poi riabilitato, rilancia ancora una volta la sua sfida alle convenzioni. Con “Le Strade Bianche”, collana nella quale è inserito il romanzo, regala infatti la versione digitale del libro e fissa il prezzo di quella cartacea in maniera ironica e provocatoria: «non meno di 5 euro».
Ci scusiamo per il disagio si sviluppa in atmosfere alla Bianciardi, vuole infatti farci vedere quello che le cateratte dei pregiudizi ci impediscono di vedere. Lo fa con una scrittura organolettica ricca di sensazioni fisiche, gravida di umori: dal profumo della risacca sulla spiaggia ai miasmi delle latrine.
Credo sia una tappa importante nel processo evolutivo di Roberta scrittrice. L’ho conosciuta tramite i suoi racconti brevi sui blog letterari, dal finale quasi sempre col colpo di scena. Stimolato da questi assaggi, lessi Il Volto oscuro della perfezione, intrigante e quasi un thriller d’arte. Poi fu la volta di Io ero l’Africa con il quale già esplodeva la sua scrittura gravida, impregnata della sensualità del paesaggio e dell’erotismo delle situazioni.
Ora Roberta sembra rinunciare a qualsiasi colpo di scena, a qualsiasi effetto speciale, a essere esaustiva perché conta sulla partecipazione costruttiva del lettore: si limita a raccontare una vita, anzi due, anzi tre… Anzi tante. Insomma racconta la vita intorno, che rischiamo di non vedere. Non solo quella degli “invisibili” barboni, anche la nostra.