È innegabile che le sanguinose vicende che hanno colpito Parigi nella notte tra il 13 e il 14 novembre scorso siano un attentato al nostro modo di vivere. E probabilmente quando pensiamo a un certo stile di vita non riusciremmo neanche a immaginarlo se non ci fossero certe abitudini: tra queste anche una tra le più futili, la possibilità di comunicare attraverso i social network.
Nelle ore di terrore che hanno attraversato la Francia e l’Europa intera però è accaduto qualcosa di straordinario che ha cambiato temporaneamente l’immagine di Internet: proprio i social sono diventati resilienti e da questi sono arrivate risposte tempestive a moltissimi superstiti e persino ai loro cari.
Facebook per esempio ha attivato immediatamente il “Safety Check” che ha invitato gli utenti a segnalare il proprio stato di sicurezza. Grazie a questo servizio agli amici e ai parenti di chi si trovava a Parigi sono arrivate notifiche rassicuranti.
Twitter con l’ashtag #porteouverte ha diffuso la straordinaria catena di solidarietà dei Francesi che, in piena notte, hanno accolto tantissimi ragazzi isolati e lontani da casa. Mentre attraverso #rechercheParis sono state rintracciate centinaia di persone.
Google ha sbloccato tutte le chiamate verso la Francia effettuate con Hangouts.
Gli smartphone sono serviti ai parigini per cercare aggiornamenti sulle notizie o girare video e agli ostaggi per segnalare cosa accadeva.
Purtroppo a invadere il Web sono state anche le rivendicazioni degli attentati terroristici, lo sciacallaggio di quanti inneggiavano all’odio e al razzismo, i messaggi di dolore di chi non aveva notizie di parenti e amici, i testi degli ostaggi che hanno raccontato attraverso i propri status l’orrore e la paura che stavano vivendo. Tutte cose che lasciano un segno, una macchia, una ferita ma con le quali è necessario fare i conti per andare avanti. Così come bisogna riflettere sul fatto che utili gesti di umanità, in una assurda notte di novembre, possono prendere vita anche all’interno della Rete.