Tra i non luoghi della contemporaneità c’è una città che vive 8 giorni e poi viene distrutta, ogni anno, alla vigilia del Labor Day americano: si tratta di Black Rock City, teatro del Burning Man Festival, l’evento che si celebra sotto la supervisione dei suoi fondatori Kevin Evans, John Law e Michael Mikel e che raduna a fine agosto nelle condizioni estreme del deserto del Nevada una folla immensa, colorata e gioiosa, pronta a vivere un esperienza estrema, di condivisione, di estasi artistica in condizioni ai limiti della sopravvivenza.
Come cerca di spiegare Spark – The Burning Man Story, il film-documentario realizzato durante l’ultima edizione del festival (che ha visto la partecipazione di oltre 65000 persone), diretto dai videomaker Steve Brown e Jessie Deeter, l’evento rappresenta oggi un fenomeno di rilevanza sociologica dove le regole dell’autogestione, del rispetto, della condivisione tra persone che provengono da ogni parte del mondo sono alla base della creazione di una comunità temporanea in un luogo apparentemente ostile e inospitale.
New hippie, radical chic, lebowski styler, intellettuali e artisti della West Coast californiana ma anche intere famiglie accorrono in massa per dare vita, insieme, alle più incredibili forme d’arte, proponendo sculture gigantesche e coloratissime, installazioni, esibizioni live, performance teatrali, idee per la mobilità originali e sostenibili in una babele informe, ipercinetica, scevra – per espressa decisione degli organizzatori – da ogni forma di sponsorizzazione e dinamica commerciale.
Tutto è lasciato al caso: per preservare l’effetto lisergico che ha reso celebre nel mondo il Burning Man, non c’è line-up nè programma nè palchi per le esibizioni, nè tantomeno un calendario degli eventi. Chiunque può portare la propria opera d’arte al Burning Man. Il Festival è in quanto tale e per capirlo bisogna solo esserci.
Radical inclusion, decommodification, self-reliance e crazy self-expression, in una parola libertà assoluta di espressione: a queta si associano alcune regole fondamentali di convivenza, scambio, condivisione, contenute nel “manuale per la sopravvivenza”, il corposo vademecum distribuito a tutti i partecipanti.
Il tema dell’edizione 2013, che si svolgerà del 26 agosto al 2 settembre, sarà il Cargo Cult e sarà ispirata, come sempre, al concetto di temporaneità delle opere e delle installazioni presentate: “se lascia tracce, non lo puoi fare” è uno degli slogan degli organizzatori.
Quello che sembra destinato a durare nel tempo è, invece, proprio il Festival, dopo l’autorizzazione del Nevada Bureau of Land ad utilizzare la valle dove viene edificata e distrutta ogni anno la Black Rock City fino al 2016.
Il gigantesco fantoccio di legno che viene “sacrificato” nel rito collettivo finale non sarà
risparmiato dal rogo neanche negli anni a venire.
Fabrizio Montini Trotti | Bake Agency