2020, l’intera umanità e ogni altro essere vivente vengono cancellati da una terribile e misteriosa pandemia. Un’apocalisse o, forse, un consolatorio punto e a capo nella storia millenaria del mondo. Unico sopravvissuto, Phil Miller, 40 anni, di Tucson, Arizona. A lui il compito ingrato di trascinarci su e giù per gli Stati Uniti per quasi due anni alla ricerca di altri miracolati su un autobus granturismo, ma nella gloriosa America non sono rimasti che oggetti un tempo appartenuti a qualcuno, tesori gelosamente custoditi, interi edifici immersi nel silenzio. Ogni cosa adesso appartiene a Phil. “Chi trova, tiene” recita un vecchio detto. Così l’enorme villa con piscina abitata un tempo da chissà chi si trasforma in una casa – museo – discarica tra centinaia di bottiglie di birra, pacchi di patatine, quadri di Monet, cimeli della Casa Bianca, sarcofagi, un paio di premi Oscar, trofei sportivi e decine di scatole di Jenga.
“Alive in Tucson” si legge su quello che una volta era il cartellone di benvenuto dell’arida cittadina americana. C’è un sopravvissuto a Tucson, ha la barba, l’aria strafottente e un’attitudine all’anarchia, la stessa di un bambino che la mamma ha lasciato solo a casa.
Alcol, nachos e porno. Ecco, l’ultimo uomo sulla Terra è un completo disastro.
Ma in questa versione rimasterizzata dell’Eden, Adamo alla fine trova la sua Eva, che non è per nulla attraente, è petulante, polemica, testarda, maniaca del controllo, moralista. Carol Pilbasian, boccoli e merletti, l’ultima donna sulla Terra. Praticamente Lebowski che incontra Biancaneve.
The Last Man on Earth è la nuova serie comica della Fox, in onda in Italia su Fox Comedy dal 28 aprile, ideata, firmata e straordinariamente interpretata da Will Forte, uno dei volti celebri del Saturday Night Live e protagonista, insieme a Bruce Dern, di Nebraska, piccolo capolavoro in bianco e nero di Alexander Payne. 13 puntate per raccontare un’idea semplice, ma potentissima: cosa faresti se fossi l’unico sopravvissuto alla fine del mondo? E così uno scenario distopico, agorafobico, normalmente annichilente diventa il palcoscenico perfetto di battute al vetriolo e gag surreali, compendio del complesso rapporto tra sessi e, più in generale, delle relazioni umane. Il day after immaginato da Forte è, infatti, l’inizio di una nuova coscienza, un percorso verso la riscoperta di se e degli altri.
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Sarà un’impresa eroica, senza dubbio, almeno per Phil, un viaggio dell’eroe che comincia con l’abbrutimento, fisico e morale, dal saccheggio indiscriminato alla distruzione catartica, dalla totale assenza di igiene allo stordimento alcolico in una piscinetta per bambini trasformata in un enorme bicchiere di Margarita. E poi arrivano la noia, le giornate tutte uguali, i limiti di un mondo senza cibo fresco, luce e acqua, la consapevolezza di non saper fare nulla, a parte consumare e produrre escrementi e spazzatura. La testa si affolla di pensieri, ricordi e preghiere ad un Dio evidentemente in vena di scherzi, la solitudine, la stessa di Tom Hanks e del suo Wilson, “non finirò come lui, a parlare ad una palla” e, invece, va ben oltre, cercando di corteggiare un manichino. La libertà di spaccare vetrine, incendiare carta igienica, giocare a bowling usando delle lampade al posto dei birilli diventa ben presto disperazione fino alla scoperta di non essere solo come credeva.
Ed è qui che le cose si complicano, magari la Terra fosse stata invasa dagli alieni o da mostri a tre teste sarebbe stato meglio, invece il nemico è una donna che parla e tanto e dopo tutto quel silenzio, quei monologhi nei bar fantasmi abitati solo da palle con occhi e bocca, bisogna abituarsi all’altro, rieducarsi a vivere insieme, ricominciare ad ascoltare, sicuramente fingere, discutere.
Ricomporsi e ricomporre i pezzi di un’umanità nuova. Far crescere dei pomodori nell’orto o indossare dei pantaloni, darsi appuntamento per cena, fare finalmente sesso, sperare che ce ne siano altri di “alive” e provare a vivere con quello che si ha e che è rimasto.
The Last Man on Earth è la risposta cinica e irriverente al filone dei disaster movie e a molta letteratura di genere, alla visione machista del martire quasi sempre in canottiera e con muscoli in bella vista contrappone l’uomo comune, la pancetta di chi non rinuncia al barbecue della domenica e agli shot da un dollaro dopo il lavoro. L’anti-eroe apatico che attacca i mattoncini del Jenga con la colla e che usa la piscina come water salverà il mondo con una risata.