Un ascolto consapevolmente libero non può, per definizione, inciampare nella seduzione di comode categorie precostituite, utili troppo spesso tanto a catalogare in modo erroneo quanto a confondere chi osserva e chi ascolta.
Il piano trio d’ispirazione jazz rappresenta, generalmente, una formula consolidata per performance studiate nelle quali le varianti e gli elementi di originalità corrono il rischio di risultare già sentiti, a discapito dell’unicità.
Da questo substrato musicalmente monocromo si eleva, con i tratti distintivi dell’eccellenza tecnica, il trio australiano dei The Necks, in tour in Italia per un’unica data esclusiva.
Il concerto, che si è tenuto nella suggestiva cornice della monumentale Sala dei Giganti al Palazzo Liviano di Padova (il 28 novembre), ha concluso la stagione 2017 del Centro d’Arte.
La rassegna, che da anni è motivo di vanto della scena culturale patavina, si contraddistingue per una proposta di elevato spessore artistico, con una particolare attenzione alla scena dell’avanguardia e della sperimentazione. Queste ultime entrambe presenti nel percorso artistico dei The Necks, elevate a un rango stilistico rigoroso e personale anche nella performance dal vivo.
Il combo australiano formato dal pianista Chris Abrahams, dal percussionista Tony Buck e dal bassista Lloyd Swanton, definito dallo scrittore Geoff Dyer del New York Times “il più grande trio della terra”, si è esibito in Italia in occasione del trentennale del loro sodalizio artistico. Un percorso articolato in ben 18 album dei quali anche l’ultimo, dal titolo Unfold, encomiato dalla critica. Degni di nota sono anche i diversi progetti paralleli, tra i quali, da ultimo in ordine cronologico, il lavoro solista firmato da Tony Buck, Unheart, recentemente pubblicato.
Strutturato in due set da 45 minuti ciascuno, il concerto dei The Necks si svolge secondo le regole di un’estetica trascendente e non convenzionale, che proietta l’audience in una dimensione immersiva, a più livelli, all’interno della quale è facile lasciarsi accompagnare lungo scale melodiche escheriane. Liberano i nostri sopiti sotto-sistemi della personalità nel decidere in quale punto del viaggio sonoro fermarsi, partendo dal presupposto che il punto d’arrivo non potrà essere lo stesso per tutti.
Sin dall’incipit, la performance dei The Necks si dichiara apolide rispetto agli stilemi del jazz. Rifiutando, smontando e assemblando le opzioni binarie in una forma innovativa di composizione istantanea. È sufficiente infatti una scala modale reiterata, sui tasti da Chris Abrahms, per innescare il pattern di due semplici note, scandite dalle corde del contrabbasso, sulle quali si avviluppa il vortice apparentemente innocuo dei timpani, sfiorati da Tony Buck.
La disposizione sul palco dei tre strumentisti che impedisce loro ogni comunicazione visiva denota una predisposizione all’interplay basata unicamente sull’ascolto profondo, nel tentativo di stabilire un’empatica comunicazione mentale con chi ascolta.
Armonie maggiori e minori, spesso giustapposte in semplici ripetizioni di due o tre accordi, alternate a scarne melodie a quattro o cinque note, disegnate dalle dita di Abrahms, possono suonare al primo impatto familiari ma, lentamente, si stratificano in una corrente sonora acquatica distaccata. Quasi a voler amplificare la voce grandiosa senza tempo della natura.
Il suono si fa, via via, sempre più vibrante e la dilatazione temporale delle delicate, a tratti incerte, introduzioni meditative lascia lentamente il posto agli impercettibili e misurati cambiamenti di tono. Il tutto adagia il magma sonoro dei The Necks in una corrente che fluisce impetuosa, alimentata dalla combustione di una sezione ritmica propagante energia secondo un moto ondulatorio, prima di affievolirsi della stessa energia spontanea di cui si era accesa.
Prossima alle sonorità dei recenti album Vertigo e Open, entrambi pubblicati dalla label sperimentale inglese ReR Megacorp guidata Chris Cutler (icona dell’avantgarde rock britannico con formazioni quali Henry Cow), la straordinaria performance live dei The Necks conferma non soltanto il misticismo delle narrazioni che abitualmente la anticipano ma anche la validità di un progetto artistico in grado di mantenere originalità e personalità. Indipendentemente dal trascorrere del tempo che è capace di controllare, riavvolgere e riavviare a propria discrezione.