Eshkol Nevo, le paure e gli errori umani
Disturbante, spiazzante, commovente: questo è ‘Tre piani’.
Il libro di Nevo è un viaggio tra le emozioni, le paure e le paranoie degli abitanti di una palazzina borghese di Tel Aviv. Sullo sfondo di un paese che vive le sue lotte sociali e politiche, i protagonisti si mettono a nudo: ognuno racconta la propria storia ad un interlocutore che diviene testimone delle sue debolezze e delle sue fragilità. Tra solitudine e bisogno d’amore, Nevo indaga le relazioni umane.
Tre storie, tre famiglie, tre piani: attraverso questo espediente narrativo, Nevo racconta le tre istanze freudiane della personalità, Es, Io e Super-Io, addentrandosi nei piani dell’anima.
I ‘Tre piani’ di Nevo (2015)
Al primo piano abitano Arnon e Ayelet, con le loro figlie Ofri e Yaeli. Le vicende narrative portano Arnon a sospettare del vecchio vicino tedesco (Hermann) di avere abusato della figlia Ofri. Il dubbio e la rabbia pervadono le pagine con un ritmo narrativo incalzante: parola dopo parola crescono l’impotenza, l’ossessione. Ma la verità non verrà svelata e rimarranno solo dubbio e tormento.
In questo quadro Arnon è l’emblema dell’inconscio e delle pulsioni senza logica: l’Es freudiano.
Al secondo piano c’è Hani, alle prese con un marito assente e due figli da gestire. Entriamo nella dimensione quotidiana di Hani, vittima della sua vita, insoddisfatta e sola. Quando il cognato ricercato (Eviatar) si presenta alla sua porta, diventa una sorta di fuga, una salvezza dalla monotonia e dalla routine. Tra tensione e desiderio, Hani sospetta (e noi con lei) che l’incontro con Eviatar sia stato solo frutto della sua immaginazione, come i barbagianni che appaiono sull’albero davanti casa…
Hani così rappresenta l’Io e la difficile convivenza tra stimoli esterni (Es) e regole pressanti (Super-Io).
Al terzo piano abita Dvora: la sua storia è forse la più intensa e commovente. Fuori dalla palazzina borghese, ordinata e silenziosa, dove vive Dvora, i giovani manifestano in piazza per una giustizia sociale. Dopo una vita da giudice e il lutto del marito, Dvora ‘apre la gabbia’ e partecipa con i giovani alle manifestazioni: scende in piazza perché non si può più ‘dormire’. Qui inizia il suo percorso di scoperta e cambiamento, che la porterà a ritrovare il figlio scomparso da anni: un figlio silenzioso ed arrabbiato, da sempre oppresso dal giudizio morale e severo dei genitori, che ha finalmente trovato la sua dimensione.
Dvora rappresenta il Super-Io, le norme, i divieti, ciò che dobbiamo essere. Ma Dvora riesce ad uscire dagli schemi, compiendo un salto e mettendosi in gioco.
I tre piani dell’anima non esistono dentro di noi. Esistono nello spazio tra noi e l’altro, nella distanza tra la nostra bocca e l’orecchio di chi ascolta la nostra storia. E se non c’è nessuno ad ascoltare, allora non c’è nemmeno la storia.
Dvora
Nanni Moretti e i suoi ‘Tre piani’ (2021)
È proprio il bisogno di comunicare e la necessità di raccontarsi dell’essere umano che mancano nel film di Moretti: il suo ‘Tre piani’ diventa una narrazione con un unico punto di vista, distante dalle storie. Il film si limita a rappresentare i fatti narrati dal libro, senza scendere in profondità ed interrogarsi sulle ragioni dei personaggi. Il dolore è rappresentato in modo quasi accennato, mai veramente coinvolgente: le personalità complesse e tormentate dei personaggi sono annacquate. La narrazione non lascia niente alla libera interpretazione laddove Nevo invece aveva sapientemente raccontato gli eventi in modo parziale, disseminando indizi fugaci e istillando il dubbio.
Mentre Moretti intreccia con un solido filo le storie dei protagonisti (Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher e Margherita Buy), creando connessioni ed ellissi narrative di cinque anni, nei ‘Tre piani’ di Nevo i personaggi si incontrano quasi di sfuggita tra flashback, senza mai veramente entrare nelle vite degli altri. Un incidente raccontato solo verso le ultime pagine del libro diventa la prima scena del film, attorno a cui si costruiscono e si intrecciano le trame dei personaggi.
Altro tema chiave dei ‘Tre piani’ di Nevo è la collocazione geografica: la trasposizione cinematografica trasforma Tel Aviv in Roma, senza operare una riflessione socio-politica del contesto. La città quasi non ha peso nelle vicende dei protagonisti: diventa scenario anonimo all’interno del racconto.
Mentre Nevo ci offre la possibilità di immedesimarci di volta in volta in un protagonista diverso e di osservare attraverso i suoi occhi la vita, Moretti non è in grado di coinvolgere. Il film non stupisce, come invece aveva fatto Nevo pagina dopo pagina.