Presso il Palazzo Esposizioni di via Nazionale (Roma) è stata allestita la mostra delle fotografie vincitrici del World Press Photo 2024.
Alcune delle foto esposte meritano un approfondimento, perché testimoniano realtà complesse che le persone stanno vivendo in parti del mondo che ci sembrano lontane, ma a cui ci possiamo avvicinare proprio attraverso queste fotografie.
A Father’s Pain – di Adem Altan
Bisogna avvicinarsi per capire la prima foto che si vede appena entrati nel corridoio della mostra dedicata al World Press Photo 2024. A un primo sguardo si vede solo l’arancione acceso di una giacca, in mezzo a un cumulo di macerie.
Quando ci si avvicina, si vede l’uomo dentro la giacca, rannicchiato sulla distruzione che lo circonda, con uno sguardo difficile da interpretare. Guarda di lato, corrucciato, come se fosse perso nei suoi pensieri.
Poi ci si avvicina ancora, e si nota che l’uomo ha un braccio allungato che quasi si perde tra le macerie. Ma la sua mano sta stringendo qualcosa: è un’altra mano, più chiara della sua, che sembra emergere dal nulla. È la mano di sua figlia, rimasta uccisa nel terremoto che ha colpito il sud della Turchia la notte tra il 6 e il 7 febbraio 2023. Ce lo dice la didascalia che accompagna la foto:
Mesut Hançer tiene la mano di sua figlia Irmak, quindici anni, rimasta uccisa mentre dormiva nel crollo della casa di sua nonna durante il terremoto in Kahramanmaraş, nel sud della Turchia.
Il fotografo, Adem Altan, racconta di essere arrivato sul posto e di aver trovato Hançer immobile, nonostante la pioggia e la temperatura gelida. È lui a chiedere al fotografo di scattare una fotografia alla sua bambina. Una fotografia che è stata diffusa in tutto il mondo, diventando la testimonianza più concreta della tragedia vissuta dalla Turchia e dalla Siria.
Red Skies, Green Waters, di Adriana Loureiro Fernandez
La storia raccontata dalla fotografa Adriana Loureiro Fernandez si svolge in Venezuela. Il suo reportage ha vinto la categoria “Storie” della regione dell’America del Sud.
Le dieci fotografie che compongono questo racconto cercano di rappresentare la condizione di un paese colpito dall’instabilità politica e dalla crisi economica che gira intorno alla produzione di petrolio. In particolare intorno e sotto il lago di Maracaibo il Venezuela possiede grandi giacimenti petroliferi, il cui sfruttamento sta causando gravi danni ambientali. Le conseguenze maggiori ricadono sulla popolazione, la maggior parte della quale vive in povertà.
La fotografia che apre il reportage è forse la più potente della serie: mostra una tranquilla scena domestica, in cui donne e bambini sono impegnati in un gioco da tavolo. Eppure sullo sfondo, dietro una vegetazione che sembra volerli proteggere, si staglia un cielo infuocato e minaccioso. Colpisce il contrasto tra la tranquillità della famiglia e il senso di pericolo imminente alle loro spalle. Ci si può abituare alla distruzione fino al punto di convivere pacificamente con essa?
L’ultima foto della serie sembra dire di sì. O almeno sembra dirci che, nonostante le devastazioni che stanno subendo sia l’ambiente che la popolazione, le persone non perdono la speranza e sono ancora pronte a protendersi verso il futuro.
A Palestinian Woman Embraces the Body of Her Niece, di Mohammed Salem
Il premio World Press Photo 2024 di fotografia dell’anno (Photo of the Year) è stato vinto da uno scatto di Mohammed Salem. Questa fotografia è stata scattata nella Striscia di Gaza, un luogo da cui continuamente arrivano immagini degli orrori e delle devastazioni che stanno avvenendo in questo momento.
La popolazione civile sta subendo le maggiori perdite, e non solo fisiche, con il numero di morti sempre in aumento. Ci sono perdite meno visibili, che si leggono negli occhi delle persone solo se si presta abbastanza attenzione.
La didascalia che accompagna la fotografia di Mohammed Salem recita:
Inas Abu Maamar (36) culla il corpo di sua nipote Saly (5) che è rimasta uccisa, insieme a sua madre e sua sorella, quando un missile israeliano ha colpito la loro casa in Khan Younis, Gaza.
Il viso della donna al centro della foto è coperto, nascosto nell’abbraccio con la nipote che ha perso, avvolta in un telo bianco. Nell’immagine non c’è nulla di cruento, eppure tutto quello che non vediamo è molto più eloquente di tutto quello che potremmo vedere. Sappiamo cosa c’è sotto il telo che la donna stringe. E immaginiamo il suo viso.
Eppure il suo nascondersi al fotografo e a tutti noi ci dice anche un’altra cosa: c’è una distanza tra noi e la sua vita. Non saremo mai veramente in grado di conoscere quella realtà. Possiamo guardarla, appesa a un muro o su uno schermo, ma poi andremo avanti, alla prossima foto.
Oppure possiamo tentare di rimanere. Certo questo richiede uno sforzo, persino una violenza a se stessi. Questa non è una storia in cui è bello entrare, ma è necessario farlo. Rimanere significa portare quella fotografia via con sé, renderla una parte della propria realtà. Significa scegliere di non metterla da parte, nel mucchio delle migliaia di immagini che ci capita di vedere tutti i giorni.
Se un’immagine smette di essere una fotografia ed entra a far parte della realtà di chi guarda, allora forse quella fotografia ha raggiunto lo scopo per cui è stata scattata.